La DECADENZA di un ASTRO ovvero “LUCIFERO” (Isaia 14:12)


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Umanamente parlando, non si hanno riferimenti storici della sua esistenza, ne reperti archeologiciche testimonino le sue attività. Egli ci viene descritto, solo attraverso l’indirizzo profetico. Ma, la sua esistenza è comprovata, dalle cause devastanti che ha prodotto all’umanità; e dagli effetti travianti che segna nell’animo umano. Ogni uomo ne porta il segno della sua astuzia: “il peccato” (II Cor. 11:3).

Per cui, una delle prerogative del cristiano, è: “conoscere” attraverso l’insegnamento della Parola di DIO. “Essa”, ci porta innanzi tutto, ad esaminarci; per condurci, attraverso la SUA Grazia, nella condizione giusta dinnanzi a DIO. Poi, “Essa”, diventa la nostra protezione, contro ogni aspetto di male, che possa attaccare la nostra anima. Come una fortezza di difesa per la nostra vita; e CRISTO, ce lo ha dimostrato, quando tentato dal diavolo, usò la Parola di DIO, per difendersi dai suoi attacchi.

Nelle strategie di guerra, infatti, tutto si basa sull’informazione, riguardo le attività del nemico. Conoscere i suoi movimenti, le postazioni di difesa, i suoi piani di attacco, la potenza di fuoco, la disponibilità di armi e mezzi bellici. La rete di spionaggio e controspionaggio, e quanto fa svolgere le sorti di molte battaglie; attraverso informazioni per conoscere il nemico e disinformazioni per ingannare il nemico. DIO, attraverso la SUA Parola ci dà informazioni necessarie, che ci conducono alla vittoria contro il nemico dell’umanità.

DIO vuole salvaguardare il credente, dalla sorte che toccò ad Adamo, portandoci a conoscenza, attraverso la SUA Parola, di chi vuol distruggere la vita dell’uomo. Esso è “satana” (cioè l’avversario) conosciuto anche come, il “diavolo” (cioè il calunniatore dei credenti) Alla sua persona sono definiti vari nomi, che ne definiscono le sue caratteristiche: “tentatore” (in quanto seduce gli uomini a peccare), “maligno” (in quanto artefice di ogni malvagità) GESU’ lo definisce anche “il principe di questo mondo” e Paolo “dio di questo secolo” (in quanto, ad un secolo di un mondo decaduto).

Nel Vecchio Testamento, il profeta Ezechiele ed il profeta Isaia, profetizzano su un lontanissimo tempo del passato, attraverso metafore, riferite ad un tempo a loro più presente, nella descrizione di due re malvagi, il re di Tiro ed il re di Babilonia. Lo SPIRITO di DIO, come a una nebbia che si dirada, svela e fa conoscere l’identità del vero protagonista: che è il “diavolo”.

— Il profeta Ezechiele (cap. 28 verss.12-18), ci descrive questo essere celeste come un “cherubino unto” gerarchicamente, era secondo dopo DIO. Fu creato, in splendore, in bellezza, in potenza, in sapienza, avendo il privilegio di stare presso DIO, nel monte della SUA Santità, ma tutto si perde, quando cambia i valori che DIO gli aveva donato, con l’iniquità e la violenza. — Il profeta Isaia (cap. 14 verss.12-15), ce ne descrive la decadenza, su cui si abbatte il giudizio Divino. Paragonato ad una stella mattutina, ad un astro lucente che cade (da questo è tratto il nome “lucifero”)….

In questa profezia è rivelata la principale causa della sua decadenza: il proprio innalzamento. Il voler arrivare fino al trono di DIO e mettersi al suo posto. —
Quindi, entrambe le profezie, si rivelano in ogni aspetto, riferite al diavolo. In quanto il re di Tiro, non poteva trovarsi nel giardino dell’Eden; ed il re di Babilonia, non poteva contendere il suo trono, in cielo, con quello dell’Altissimo. Piuttosto, nella metafora di questi due re, veniva mostrato un medesimo spirito malvagio, tale, da paragonarne e identificarne il diavolo.

Su queste due profezie, che decretavano il giudizio di DIO, su due re malvagi e impenitenti. A ciò che li aveva reso tali, DIO ne rivedeva l’autore di tale spirito iniquo; arrivandone sino alla fonte di provenienza, e dichiarandone l’identità, nella persona del diavolo, colui che ha profanato i Luoghi Santi di DIO. — Nei millenni del tempo passato, satana ebbe tutto il tempo per sedurre e compire la sorte di miriadi di angeli. Nel Nuovo Testamento, l’apostolo Giovanni, ci descrive profeticamente: “Un dragone che ‘trascinava’ la terza parte delle stelle e le ‘gettava’ in terra” (Apocalisse 12:3-4).

Questi astri cadenti, si riferiscono agli angeli che perdono il privilegio del cielo, perché “gettati in terra” e vengono “trascinati” perché ingannati dall’astuzia del diavolo. La definizione più terrena, e umanamente più comprensibile di questo accaduto, sarebbe di immaginare, come una sorta di “colpo di stato in cielo”, sventato, dagli angeli fedeli a DIO. Su questo episodio, la stessa Bibbia, ci mostra un’immagine simile, attraverso una realtà storica. “Absalon,figlio del re Davide, induce il popolo, con ogni sorta di seduzione, ambiguità e perfidia a detronizzare il padre e prenderne il posto. Ma il piano fallisce tragicamente. (I Sam. 15:1-6)

E’ da constatare, che la seduzione che il diavolo usò verso gli angeli, è la medesima che usa verso gli uomini. Sconvolgente il modo in cui crea il suo seguito. Giovanni descrive che “trascinava” e “gettava” in terra; tutto sa di “costrizione” e “violenza”. Che differenza con CRISTO, che “invita” e “conduce” tutto sa di “rispetto” e “accoglienza”. Perché DIO è COLUI che: “Ci condurrà con il SUO consiglio e poi ci riceverà in gloria” —- Davide Dilettoso —-

SEI NELLA PROVA?


Domenico Modugno

Stai tranquillo che se stai cercando di camminare giustamente davanti a Dio, sei nella prova.

In realtà, più in profondità cammini con Cristo, più intensa sarà la tua prova.

La Scrittura ne parla chiaramente: “Ma il popolo di quelli che conoscono il loro Dio mostrerà fermezza e agirà… Quando cadranno, sarà loro dato un po’ di aiuto…Alcuni di quelli che hanno sapienza cadranno, per essere affinati, purificati e imbiancati fino al tempo della fine, perché questo avverrà al tempo stabilito” (Daniele 11:32-35).

Sta arrivando un tempo di grande prova su “coloro che hanno sapienza”.

Quindi, chi sono costoro che saranno provati?

Sono i giusti, coloro che agiranno per il Signore, che camminano con Dio e hanno la sapienza di Cristo.

Forse proprio ora ti stai chiedendo: “Perché sono nella prova? Perché mi sta succedendo questo?”

Ricordi i giorni di scuola?

Quando veniva dato un compito in classe, esso rivelava quanto avevi effettivamente imparato di quello che ti era stato insegnato.

Tuttavia, Paolo parla di una scuola diversa, una scuola in cui stiamo “imparando Cristo” e veniamo “da Lui insegnati, poiché la verità è in Gesù” (vedi Efesini 4:20-21).

Se appartieni a Gesù, sei alla Sua scuola.

Forse hai pensato di esserti già diplomato, ma ciò non avverrà finché non sarai nella gloria.

Quand’ero a scuola, odiavo i “compiti a sorpresa”, non preannunciati.

Ma il Signore ci ha detto di essere pronti ad essere provati in ogni momento, e queste prove continueranno finché Gesù non ritornerà.

Tutti quelli che amano il Signore attraverseranno prove intense e saranno purificati da tutto ciò che non è come Cristo, in preparazione per le nozze dell’Agnello.

Davide spesso parlò di essere provato e avversato: “Io so, o mio Dio, che tu provi il cuore e ti compiaci della rettitudine” (1 Cronache 29:17).

“Tu hai investigato il mio cuore, l’hai visitato di notte; mi hai provato e non hai trovato nulla; mi sono proposto di non peccare con la mia bocca” (Salmo 17:3).

“Il ringraziamento prima di ogni pasto”.


10393772_834323496612330_2454120890160136106_nGiovanni 6:11
“Gesù, quindi, prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì alla gente seduta; lo stesso fece dei pesci, quanti ne vollero”.

Secondo l’usanza ebraica, prima di sedersi a tavola per consumare il pasto, ci si lavava le mani invece, il lavaggio dei piedi, era un servizio che faceva il servo e in assenza del servo, il compito spettava al figlio più piccolo del padrone della casa.
Se consideriamo quel passaggio biblico che Gesù si mette a lavare i piedi (Gv 13:4-5), notiamo che nessuno aveva loro lavato i piedi ma tutti si erano lavati le mani, perché il lavarsi le mani era un dovere personale.

Se andiamo indietro nel tempo, leggiamo che Eliseo era servo di Elia e spettava ad Eliseo procurare l’acqua per il suo signore ma quando Eliseo dopo il rapimento di Elia, divenne egli il profeta di Dio, aveva alunni che imparavano a profetare e come servi spettava a loro procurare l’acqua per Eliseo (2 Re 3:11) e le mani, generalmente, venivano lavate anche dopo il pasto.

Nel Nuovo Testamento, il lavarsi le mani obbligatoriamente, aveva assunto le connotazioni di un rituale e Gesù, reagì contro la pura ritualizzazione di tale pratica (Mt 7:1-8).

Prima di consumare il pasto, si esprimeva una formula di ringraziamento; tradizionalmente di diceva: “Benedetto sei Tu, Yahvè nostro Dio, Re del mondo, che fai nascere il pane della terra”.
Forse, ma non possiamo affermarlo, è probabile che anche il Signore Gesù usò questa formula nella preghiera che rivolse al Padre quando sfamò ben 5.000 uomini più donne e bambini (Gv 6:11), proprio come nei secoli prima aveva fatto il profeta Samuele (Sam 9:13).

Quando si mettevano a tavola, in una casa ordinaria vi era una pentola comune per il cibo, che veniva posta su di una stuoia, attorno a cui i membri della famiglia si sedevano con le gambe incrociate e attingevano un sottile pane uno alla volta giacché non esistevano le posate.

Oggi il benessere di cui ci lamentiamo spesso, ci ha portato ad avere il nostro piatto personale, le nostre posate e non contenti di quanto Iddio ci provvede giornalmente, siamo insoddisfatti dimenticandoci persino di ringraziare il buon Dio nella forma che desideriamo meglio.
E scritto in Matteo 6:26
“Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro?”.

Forse sarà buono che ci preoccupiamo di meno e ringraziamo Dio di più poiché esserGli riconoscente, è un dovere di ogni cristiano!

LA PREGHIERA DI UNA AMMALATA.


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Salmi 41:1-3
“Beato chi ha cura del povero!
Nel giorno della sventura il SIGNORE lo libererà.
Il SIGNORE lo proteggerà e lo manterrà in vita;
egli sarà felice sulla terra, e tu non lo darai in balìa dei suoi nemici.
Il SIGNORE lo sosterrà quando sarà a letto, ammalato;
tu lo consolerai nella sua malattia”.

Si racconta che un’anziana donna fu colpita da una malattia infettiva.
Nel volo di ritorno dall’Africa, si sentì molto male e pensava che se avesse “rifiutato” la propria malattia si sarebbe sentita meglio, così, iniziò a ripetere continuamente a sé stessa: “Sto bene, sto bene” ma l’espediente, però, non funzionò.
Qualche attimo dopo, le venne in mente un predicatore che l’aveva esortata a lodare Dio per ogni cosa, quindi cominciò a dire: “Signore, grazie perché mi sento male” ma purtroppo, anche questa formula non curò la sua malattia e il volo continuava a essere un tormento.

Passarono pochi minuti ed escogitò un altro sistema in base al libro che stava leggendo dal titolo: “Non sprecare i tuoi desideri” così, chiuse gli occhi e si rivolse a Dio dicendo: “Io so che Tu trasformerai questa malattia in qualcosa di buono. Non voglio che questa esperienza sia sprecata” e aspettò la guarigione che non venne.
Alla fine, al colmo della disperazione, si chiuse nel bagno dell’aereo e mentre il suo viso si rigava di lacrime si rivolse a Dio come una piccola fanciulla dicendo: “Signore, ho bisogno di Te, aiutami” ma non finì di chiedere soccorso, che è stata guarita con immensa meraviglia della rapidità dell’intervento dell’Eterno.

La verità è che troppo spesso diamo ascolto ai consigli degli altri, piuttosto che ricorrere a Dio con semplicità e onestà ammettendo il nostro bisogno del Suo aiuto.
Nel Salmo, Davide apre questa preghiera con una benedizione simile alla quinta beatitudine che leggiamo nel Sermone sul monte (Mt 5:7): “Beato colui che si d° pensiero del povero (ossia il misero); nel giorno della sventura l’Eterno lo libererà”.

La vita spesso restituisce ciò che v’introduciamo perché equivale il principio: “Ciò che seminiamo quello raccoglieremo”.
Se abbiamo compassione per i sofferenti, Dio che non dimentica, userà la stessa compassione nel giorno della sventura e i Suoi benefici saranno assai superiori di quanto abbiamo dato tant’è che le nostre anime saranno consolate e benedette come non mai!

TESTIMONIANZA-Davide Borgetti


Mi chiamo Davide, ho 18 anni e abito a Cisterna. Sono nato e cresciuto in una famiglia cristiana, e fin da piccolo ho ricevuto gli insegnamenti della Parola di Dio.

Crescendo, iniziai ad uscire con i miei amici del calcio: con loro mi trovavo bene perché condividevamo la stessa passione, quella che mi portava a trascurare le riunioni della chiesa. Cosi distolsi inconsapevolmente lo sguardo dal Signore e mi immersi sempre di più nel mondo, attirato dalle sue passioni/illusioni. Abbandonai definitivamente la Chiesa perché, anche quando non ero impegnato con il calcio, cercavo di non andarci, accampando qualche scusa. Ma crescevo e crescevano anche i miei desideri. Iniziai a frequentare le discoteche, anche se non costantemente, perché non ne ero appassionato: ci andavano tutti e per questo ci andavo anche io. Non volevo essere da meno degli altri, anzi volevo essere migliore degli altri ed è proprio questa peculiarità del mio carattere che mi ha portato a fare alcune esperienze che ormai vengono considerate “normali” nel mondo.

I miei genitori continuavano a parlarmi del Signore, ma io non li ascoltavo: fingevo per non offenderli. Dentro me dicevo:”Ho tutto e ho anche degli amici fantastici, che cosa mi manca? Ho forse bisogno di Dio?” Ma il Signore indirettamente mi rispose perché iniziarono i primi litigi tra gli amici, le prime delusioni: la più grande me la inflisse il mio migliore amico, almeno lo era per me. Ed ecco che il mio mondo crollò; avevo dato me stesso per gli amici e mi ritrovavo da solo, senza nulla. Stavo male e nessuno si preoccupava del motivo per cui stessi male.

I miei genitori mi consigliarono di leggere la Bibbia e di pregare il Signore che mi avrebbe aiutato, liberato e dato la Vera Pace che solo Lui può dare. Li per li rimasi sbigottito, ma poi pensai tra me e me: “Se non ci provo sto male, se ci provo non so cosa succede, tanto vale provarci.” Misi alla prova il Signore che mi rispose e non mi deluse: mi liberò da quella specie di depressione e mi diede la Vera Pace. Cosi ricominciai a frequentare la Chiesa ed i culti ma iniziai a pensare che mi ero rialzato da solo: ero riuscito ad uscire da quel brutto momento da solo, con le mie forze; in realtà non era vero. Allora tornai nel mondo pensando che erano stati quegli amici a deludermi e cosi cambiai amicizie. Nel frattempo a calcio andavo veramente bene, avevo molti estimatori e anche le persone mi rispettavano: avevo ottenuto il rispetto di molti anche più grandi e la cosa mi dava un senso di protezione; credevo che il rispetto fosse importante.

Ma qualcosa cambiò: alcuni dei miei amici usavano droga pesante come la cocaina. Questo mi mise con le spalle al muro. Non avevo intenzione di rovinare la mia vita e avevo capito che non era questo il mondo che volevo. Allora uscivo, mi divertivo come sempre, ma quando tornavo a casa sentivo un vuoto dentro me: mi mancava qualcosa. Ero nuovamente triste perché non ero piu’ felice nel mondo: potevo fare qualsiasi cosa, ma ciò non m’appagava.

Una notte, dopo essere uscito, tornai a casa, m’inginocchiai e piansi: chiesi perdono al Signore perché l’avevo sfruttato: l’avevo cercato solo nel momento del bisogno e poi l’avevo scacciato via dalla mia vita. Non mi ero accorto che l’Unico Vero Amico è Gesu’; Lui c’è sempre e non ti delude mai. Cosi mi riavvicinai al Signore, tornai a frequentare i culti in Chiesa. Nel calcio andavo sempre meglio, volevo essere una testimonianza per il Signore nel mondo del calcio, eppure non avevo dato il mio cuore al Signore. Infatti, incomprensibilmente per me iniziarono i primi problemi proprio nel momento in cui stavo andando bene.

Tornai a casa e pensai a come, da quando mi ero avvicinato al Signore, nel calcio c’erano stati molti impedimenti che non permisero di mettermi in mostra. Dissi alla società che mi sarei preso una settimana di tempo per riflettere circa l’abbandono del calcio. Pregai il Signore e gli dissi:”Signore, fammi comprendere se è nella Tua volontà che io giochi ancora.” Un giorno aprii la Bibbia e lessi nel libro dei Proverbi al capitolo 22:24-25: “Non fare amicizia con l’uomo collerico, non andare con l’uomo violento perché tu non impari le sue vie ed esponga te stesso ad un insidia” Il Signore, come sempre, era stato chiaro. Non voleva che io continuassi a giocare a calcio perché sapeva che nel calcio, ricco di persone che non conducono una vita di sani principi, sarei tornato al mio vecchio stile di vita. Ma il Signore proprio perché mi ama, mi ha preservato dal male. Cosi comunicai la scelta alla società. Abbandonai il calcio e subito dopo accettai il Signore quale mio personale Salvatore. Ora sono un figlio di Dio e ho quella gioia in me che il mondo non può dare.

Davide Borgetti

DAMMI LA TUA PAROLA by David Wilkerson


421503_306530242741235_1006760537_nMigliaia di cristiani oggi sono ciò che io chiamo credenti “del pane” – vivono solo di pane, chiedendo sempre a Dio di dimostrare la Sua fedeltà. Hanno una fame interiore e pensano di sapere cosa possa soddisfarla.

Per la maggior parte dei miei primi anni di ministero, anch’io ero un cristiano “del pane”. Avevo una fame profonda, alimentata da un bisogno inspiegabile. Quando pensai di aver bisogno di una chiesa nuova, la ricevetti! Quando credetti di aver bisogno di un programma televisivo, lo ottenni! Quando ebbi bisogno di folle, le ottenni! Si trattava di cose buone in sé, ma spesi anni a pregare, “Dio, dimostra la Tua potenza! Ho dei debiti, mandami dei soldi! Benedicimi, Signore! Benedici il mio ministero! Rispondi alle mie preghiere! Fa che mostri al mondo che Tu hai tutta la potenza. Guarisci i malati per dimostrare che sei lo stesso ancora oggi!”

Così raramente Dio trova un cristiano il cui unico obiettivo nella vita sia di conoscere e fare la Sua volontà – come fece Gesù – e che non dica mai, “Dio, dove sei?” ma invece prega, “Dio, dove mi trovo io riguardo l’obbedienza e la dipendenza?”

Quando staremo davanti al trono del giudizio, non saremo giudicati per quante guarigioni abbiamo compiuto o quanti demoni abbiamo scacciato, oppure per quante preghiere abbiamo visto esaudite o quanti grande opere abbiamo realizzato. Noi saremo giudicati per la dipendenza e l’obbedienza alla Sua Parola e alla Sua volontà.

Ai nostri giorni, nel nostro tempo, siamo diventato davvero bravi a “comandare” Dio. Comandiamo al diavolo e ai demoni; comandiamo alle fortezze di cadere. Tutto ciò è buono – ma pensa a quanto spesso gridiamo, “Oh, Dio! Comandami! Dimmi cosa fare. Mostrami come fare la Tua volontà, come obbedire ad ogni parola che procede dalla Tua bocca”.

In tutto questo, Dio ci sta dicendo, “Voglio essere la tua unica provvidenza, la tua unica speranza. Voglio essere l’unico oggetto della tua speranza”. Il mio grido è, “Oh, Dio, Tu ti prendi cura del mio denaro. Dammi solo la Tua mente. Tu ti prendi cura della mia salute, della mia famiglia, dei miei bisogni – dammi solo la Tua Parola”.

OSSERVARE LA SUA PAROLA by David Wilkerson


wilkerson“L’uomo non vive soltanto di pane, ma vive di ogni parola che procede dalla bocca dell’Eterno” (Deuteronomio 8:3).

Questo passo dal Deuteronomio è così potente che Gesù stesso lo usò contro il diavolo durante la grande tentazione nel deserto. “E, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Ora il tentatore, accostandosi, gli disse: «Se tu sei il Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli, rispondendo, disse: «Sta scritto: “L’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio”” (Matteo 4:2-4).

Come i figli d’Israele nel deserto, anche Gesù ebbe fame. Quale umiliazione maggiore ci sarebbe potuta essere per il Figlio di Dio se non quella di essere portato in un luogo di dipendenza totale?

Come uomo, Gesù imparò l’obbedienza e la dipendenza dalle cose che soffrì, come questa crisi di fame. Ciò che Gesù stava effettivamente dicendo è: “Non sono qui per compiacere me stesso o per viziare la mia carne. Sono qui per compiere il volere perfetto di Mio Padre”. Gesù abbandonò ogni preoccupazione umana nelle mani del Padre. In altre parole, Egli disse, “Spenderò la Mia vita e il Mio tempo ubbidendo a Mio Padre, facendo la Sua perfetta volontà e Lui si prenderà cura di me a modo Suo”.

Gesù sapeva che a Dio bastava dire una parola: “Fame, va via!” Ma sapeva anche che il Padre poteva dargli una carne che nessun uomo conosceva, così non si curò di cibo o bevanda o vestiti o case. Piuttosto, cercò prima la volontà di Dio e lasciò che Lui si prendesse cura di ogni bisogno.

Gesù stava dicendo qualcosa di molto profondo, a questo scopo: “Non sono venuto per chiedere al Padre di osservare la Sua parola per Me; sono venuto affinché Io osservassi ogni Sua parola!” Gesù non aveva bisogno di un miracolo per dimostrare l’amore del Padre per Lui. Egli riposava nelle parole del Padre. Il Suo grido non era “Dio, mantieni la Tua Parola per me!” ma piuttosto, “Fa che io osservi la Tua Parola in ogni cosa”.

“Io ti istruirò e ti insegnerò la via per la quale devi camminare; io ti consiglierò e avrò gli occhi su di te.” (Salmo 32:8)


1931913_358285150980601_573756233_nUno scopo degli ammonimenti e delle sofferenze da parte di Dio è quello di tenere l’uomo lontano dalla superbia. La sofferenza ci fa del bene. Questo è il punto del salmista nel Salmo 119:71:
“È stato bene per me l’essere stato afflitto, perché imparassi i tuoi statuti.”
In realtà, la sofferenza è una parte essenziale della nostra santificazione. È il fuoco di Dio che purifica l’oro della nostra fede; quanto è importante comprendere che le sofferenze per i giusti non sono una punizione, piuttosto sono il fuoco che raffina e purifica il credente.
Il Suo consiglio è sempre sussurrato nell’orecchio dei suoi diletti, e si preoccupa di insegnare ai Suoi figli a camminare nella via dell’integrità. Egli desidera da noi una nuova sensibilità, che ci porterà all’ubbidienza. Si può non peccare? La risposta è sì. Dio ci rivela la Sua parola affinché non pecchiamo. “Dio parla una volta, e anche due, ma l’uomo non ci bada; parla per via di sogni, di visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali,
quando sui loro letti essi giacciono assopiti; allora egli apre i loro orecchi e dà loro in segreto degli ammonimenti, per distogliere l’uomo dal suo modo di agire
e tenere lontano da lui la superbia;
per salvargli l’anima dalla fossa,
la vita dalla freccia mortale.” (Giobbe 33:14-18) La mancanza di volontà o di disponibilità a lasciarci guidare dal Signore, è il frutto di un cuore depravato. Il “non posso” equivale ad un “non voglio”; si tratta di una impotenza volontaria. L’impotenza dell’uomo risiede nella sua ostinazione. E’ per questo che tutti sono inescusabili.
Potrebbe sorgere una domanda: perché Dio ci comanda di fare ciò che non siamo in grado di fare? La prima risposta è: perché Dio rifiuta di abbassare i Suoi criteri di giustizia al livello delle nostre peccaminose infermità. Essendo perfetto, Dio deve porre davanti a noi un criterio perfetto di giustizia. Ancora, però, potremmo chiederci: se l’uomo è incapace di conformarsi a ciò che Dio esige da lui, dove sta la sua responsabilità? Per quanto difficile possa sembrare il problema, esso comporta una soluzione semplice e soddisfacente. L’uomo è responsabile 1) di riconoscere davanti a Dio la propria incapacità, e 2) di invocarLo con forza per poter ricevere quella grazia che lo faccia essere capace. È mio preciso dovere riconoscere davanti a Dio la mia ignoranza, la mia debolezza, la mia peccaminosità, la mia impotenza nel conformarmi a ciò che Egli, in modo santo e giusto, mi comanda. È anche mio preciso dovere, come pure mio privilegio benedetto, di implorare di tutto cuore Dio a che Egli mi dia la sapienza, la forza, la grazia, che sole mi possono mettere in grado di fare ciò che Gli è gradito; chiederGli di operare in me “il volere e l’agire, secondo il Suo disegno benevolo” (Filippesi 2:13). Il cristiano è responsabile di invocare il Signore. Supponete che io, ieri sera tardi, sia scivolato sul marciapiede gelato e mi sia rotta l’anca. Non sono in grado di rialzarmi. Se rimango per terra, congelerei a morte. Che fare, allora? Se ho la determinazione di morire, rimango lì a terra in silenzio. Se lo facessi, però, io sarei, di quello, l’unico responsabile. Se, però, desidero essere soccorso, alzerei la mia voce e griderei per farmi sentire ed aiutare. Allo stesso modo il peccatore, benché non sia in grado di alzarsi e di fare il primo passo verso Cristo, è responsabile di gridare a Dio, e se lo fa, di tutto cuore, per lui è disponibile un Liberatore. “Egli non è lontano da ciascuno di noi” (Atti 17:27); “Dio è per noi un rifugio e una forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà” (Sl. 46:1). Se però il peccatore rifiuta di gridare al Signore, se è sua determinazione quella di perire, allora il suo sangue gli ricadrà sulla testa, e la sua “condanna è giusta” (Ro. 3:8). Quando osserviamo i comandamenti di Cristo, dimoreremo nel Suo amore, e avremo una gioia completa.
Anche il contrario è vero: quando NON osserviamo i Suoi comandamenti, NON dimoreremo nel Suo amore, e NON avremo la gioia.
Andare a Cristo significa riconoscere di essere del tutto privo di titoli al favore divino; significa vedere sé stesso come realmente senza forza, perduto e senza speranza; significa ammettere di non meritare altro che la morte eterna, dando quindi ragione a Dio contro sé stesso; significa cadere prostrato nella polvere di fronte a Dio, ed umilmente implorare Dio affinché abbia misericordia di lui. Per poter venire a Cristo ed ottenere vita, il peccatore deve rinunziare alla propria giustizia ed essere disposto a ricevere la giustizia di Dio in Cristo, basata sulle Sue istruzioni e il Suo consiglio; significa screditare del tutto la propria sapienza ed essere governato dalla Sua.
trovano delusione, inganno, invischiandosi ogni giorno sempre più nella confusione e nella delusione, perché escludono Dio e la Sua eterna Parola, fonte di vita e di felicità, dalla loro vita.
Non siamo stati perdonati per continuare a vivere secondo le nostre passioni, ma affinché possiamo essere educati nella santità e formati per la perfezione. Dovremmo sempre accogliere i consigli e una guida autorevole ed essere pronti a camminare nella direzione indicata dalla saggezza di Dio. Incamminati sul sentiero dell’ubbidienza, certamente la gioia esuberante della sua presenza, anche nella notte più oscura, arricchirà la tua vita. Facciamo attenzione alla stoltezza del cuore, perché ci porta ad inciampare. Camminiamo con umiltà e ubbidienza durante i nostri anni.

L’INVIDIA


10385135_379524885523294_200348759_nNessun cristiano potrà sviluppare la propria vita se prima non permette al Signore di estirpare dal proprio cuore le radici dell’invidia amara, in quanto essa denota immaturità e mancanza di carità. L’ambizione, l’abuso, l’invidia, il compromesso, la competizione, si tratta di caratteristiche dell’uomo che vive per il potere, ovvero per sé stesso. L’uomo che serve il proprio ventre è un uomo che cerca la propria soddisfazione, lavora per sé stesso. Tale atteggiamento non può essere considerato normale per il figlio di Dio, ma piuttosto una anomalia che evidenzia una cattiva comprensione dei doni che Dio ha dato. Infatti, esaltando alcuni uomini che hanno dei doni e disprezzando gli altri, ci si dimentica che tutti sono figli del medesimo Dio.
Se ci pensiamo un attimo, tutte queste caratteristiche sono tipiche cause di divisione nel corpo di Cristo. La Chiesa è il corpo di Cristo e non è a caso che la Scrittura ci fa l’esempio del corpo. In esso ci sono varie membra; ma tutti vorremmo essere occhi, o tutti bocche, poche orecchie, pochi piedi, pochi organi nascosti che lavorano senza essere visti!
Vorremmo essere tutti in evidenza. Ma come si fa ad avere un corpo solo di occhi? Questa è la realtà, che l’invidia è un sentimento che oscura e annebbia la nostra ragione, non ci fa vedere le cose come stanno.
Noi dovremmo comprendere che siamo diventati figli di Dio! Tutti quanti! Ma non può farci essere tutti occhi! Non può farci essere tutti un solo organo! Per ognuno di noi Egli ha un piano, ha scelto una funzione nel corpo, possiamo essere una cellula, una ghiandola, un arto, ma è importante che facciamo bene quello per cui siamo stati chiamati e di quello Dio ci chiederà conto. Non serve fare ciò che è stato affidato ad altri, ma è importante che prendiamo coscienza della nostra posizione. E che cos’è che oscura le nostre menti? Cosa ci fa vivere male la nostra posizione spirituale? È proprio l’invidia, che annebbia e oscura i nostri sentimenti. Se vediamo che qualcuno prospera per il proprio lavoro, per il proprio impegno, per le proprie qualità, per come Iddio lo guida, quasi siamo gelosi, quasi non ci fa piacere. Invece dovremmo essere gioiosi perché questo è un successo, è una vittoria per il Corpo di Cristo, che siamo anche noi, e ciò fortifica. È importante comprendere questi elementi basilari, che la vittoria dei nostri fratelli e delle nostre sorelle è la nostra vittoria! Non è solo la loro in quanto apparteniamo allo stesso corpo. Se pensiamo che è solo la loro vittoria, vuol dire che noi non apparteniamo al corpo di Cristo, che non abbiamo una vera identità di figli di Dio, che non sappiamo discernere il corpo di Cristo!
L’invidia chiude la nostra ragione, i nostri occhi, senza farci vedere le cose nel verso giusto.
Per invidia e per orgoglio, ci sono coloro che si fingono ministri cristiani senza avere un reale amore per la verità. Peggio ancora, fanno delle vocazioni un mezzo per guadagnare denaro; questo ci fa pensare alla mentalità da mercante così diffusa oggi nel cristianesimo.
L’invidioso è una persona che vive costantemente con un’amarezza interiore che non gli dà pace, e questo stato d’animo è capace di provocare delle vere e proprie malattie. L’invidia è la carie delle ossa. L’invidia non solo rovina la vita di coloro che hanno questo cattivo sentimento ma, quando prende piede, porta distruzione nelle famiglie. L’invidioso reagisce in vari modi. Si veda, ad esempio, la reazione di Caino contro suo fratello Abele, che portò all’omicidio. Si veda la reazione dei fratelli di Giuseppe che “…portando invidia a Giuseppe, lo vendettero, perché fosse condotto in Egitto” (Atti 7:9). Si noti anche l’invidia di Aman nei confronti di Mardocheo che lo portò alla morte: “Così Aman fu impiccato alla forca ch’egli aveva preparata per Mardocheo” (Ester 7:10). Quanti, purtroppo, anche oggi come Aman sono impiccati alla “forca” dell’invidia, che loro stessi hanno preparato per qualcun’altro!
Nelle questioni e dispute di parole, l’uno invidia l’altro per l’abilità dimostrata; mentre rivaleggiano si contraddicono a vicenda, scoppiano contese e volano parole blasfeme, vestite di parole sacre. L’attività umana e la bravura non è altro che motivata dal desiderio da parte dell’uno di superare l’altro. L’invidia trova terreno fertile nell’attività, dove spesso la carriera diventa carrierismo e la sana competitività è sostituita da vere e proprie strategie per impedire la carriera all’altro, che deve essere ad ogni costo mortificato, avvilito, annullato. Dove c’è invidia e contesa, troviamo disordine e ogni cattiva azione. Pensiamo al caos e ai tumulti, causati dal rifiuto che l’uomo oppone alla vera saggezza, quando dà ascolto alla propria presunta intelligenza! Quando subiamo del male a causa della vera saggezza e della verità, rimaniamo in silenzio, perché la vera saggezza è mite, paziente, non arrogante; cortese, non aggressiva. Il saggio è pacifico, sopporta gli insulti e le false accuse, non si ribella e neppure cerca di giustificarsi. Il saggio, quindi, sia contento se la propria persona viene calpestata per amore di pace; la propria persona, ribadisco, non la propria coscienza.
Quando si incontra la verità, la mente corrotta vede e cerca solo obiezioni. L’invidia ci porta all’insensatezza, ossia all’incapacità di comprendere le verità spirituali.
La vita non è altro che un costante ciclo di cattiveria e invidia verso gli altri. Egoisti e incapace di amare, infelici rendendo infelici gli altri. La ruota della vita è sospinta dallo spirito di competizione; lo spirito di rivalità è alla base di molte attività contemporanee. Anche, per esempio, il desiderio di possedere vestiti migliori e case più lussuose, che però sono tutte cose senza senso e indegne di uomini creati all’immagine di Dio. Il desiderio di poter avere anche noi il bene degli altri e la loro fortuna, è sconvenientesoltanto quando il successo altrui lo consideriamo un male per noi, quando consideriamo il bene degli altri quale diminuzione della nostra superiorità. Allora il cuore si rattrista, sente che ci viene rubata la stima che ci è dovuta, le nostre parole e i gesti diventano vivaci, senza ritegno, e tutto ci crea una malinconia infinita.
Il nostro io, il nostro orgoglio, sono feriti mortalmente. Il mio cuore diventa una fontana che butta in abbondanza odio, maldicenze, mormorazioni, giudizi avventati e perversi.
Ipocrisia, finzione, doppiezza sono le armi dell’invidioso sempre pronto a sguainarle a seconda della situazione.

LA PRESUNZIONE


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Una persona presuntuosa non fa altro che spendere gran parte della propria vita nel sentirsi offesa da qualcosa o qualcuno. È irritabile, si crede sempre al centro dell’attenzione e vede tutto in riferimento a sé. La presunzione è vantarsi e voler mettere in mostra la presunta intelligenza, ed è la tendenza a credersi sempre nel giusto e a dare la colpa di tutto agli altri e ai fattori esterni, anziché vedere umilmente le proprie responsabilità.
Si pretende spesso di aver capito tutto nella vita e di essere in grado di affermare ciò che è giusto pensando di aver raggiunto il traguardo della sapienza e della verità, ma non si è capito che al raggiungimento di un traguardo della comprensione c’è una nuova partenza. Ad ogni traguardo c’è una partenza. Questo per dire che non si può arrivare all’assoluta sapienza e all’assoluta verità finché c’è vita, quindi non si finirà mai di imparare e di conoscere. Chi si ferma, chi è soddisfatto per ciò che ha compreso, sappi che è presuntuoso, poiché che è solo l’inizio, avendo molta strada da fare.
Il presuntuoso si autoelegge imperatore della conoscenza e va avanti per la sua strada, lastricata di effimere certezze, sua base solida. È una strada che crollerà, prima o poi. L’essere convinto che non c’è nulla da sapere è la cosa peggiore che esista…è molto meglio non sapere nulla.
È impossibile imparare se pensiamo di sapere e di capire, e molti hanno opinioni categoriche su ogni argomento senza più pensare, meditare e senza più porsi delle domande, senza usare il dubbio come uno strumento di ricerca. Tutti sanno e affermano e pretendono di capire tutte le cose che dicono e scrivono, dicendo e scrivendo anche cose che non capiscono, e ciò corrompe molto. Sono convinti di sapere tutto e cercano di ponendosi sempre al centro dell’attenzione. La persona presuntuosa fornisce delle sentenze in termini dichiarativi e non si cura di spiegare le motivazioni. Fornire delle spiegazioni, significa dimostrare la validità di quello che si è ipotizzato e, al tempo stesso, evidenziare la disponibilità anche di fronte ad un contraddittorio. Il presuntuoso non è disponibile ad un discutere, è sullo stile militaresco, e trasmette un messaggio che ha il sapore di un dato di fatto oppure di un ordine, per esempio dice: “questa cosa va così”, oppure: “ti chiedo di operare in questo modo, perché otterrai dei risultati” – senza però spiegare il perché. ATTENZIONE ALLE OPINIONI PERSONALI! Esse non devono assolutamente esistere.
Se si sà di avere ragione si deve però spiegare il motivo.
La più grande debolezza risiede proprio nella sopravvalutazione esagerata del conosciuto rispetto a ciò che rimane da conoscere.
Una persona potrebbe essere nel giusto e avere ragione ma deve cercare di non far pesare questo con gli altri, se non vuole restare sola, perché, più si migliora più ci si allontana dalla media del valore altrui… e più si dà fastidio agli altri, perché sono molto orgogliosi, e perché agli occhi degli altri si rischia di diventare un riferimento non raggiungibile, Non conviene farsi malvolere perché, poi, ognuno ci può essere utile. A volte è meglio tacere per puro rispetto.
Si può raggiungere la sapienza solo se non si ha la presunzione di esserci già giunti. La presunzione manifesta rigidità e ostinazione del proprio sapere, ma non si può imporre la propria idea anche quando è, si è, nel giusto: al massimo, la si può proporre. Sapete qual’è la presunzione del cristiano? È quell’arrogante sicurezza di essere sempre nel giusto, di dire e fare sempre le cose giuste, di essere migliori di altri e pertanto meritevoli. Come se, per essere riconosciuti e amati da Dio Padre, bisognasse dirgli “ehi sono Tuo figlio! Ti ho nominato tanto, ho fatto tante cose buone pensando a te!”. Il vero amore e il vero cristiano non rivendica nulla, non si aspetta nulla in cambio, non grida, non pretende, non fa o dice qualcosa per avere in cambio qualcos’altro. Questa è “la volontà del Padre” che è nei cieli tutto il resto è pura presunzione cristiana. La presunzione ci porta a pensare che, essendo Dio ricco di misericordia, ed infinita bontà, facilmente perdona; che si può ora vivere allegramente senza tanti scrupoli e malinconia; basta poi alla fine domandare perdono. Confidano troppo nelle loro forze e qualità; si stimano migliori degli altri; dicono che non commetterebbero mai né questo, né quell’altro difetto a qualunque costo e si meravigliano come altri vi possano cadere.

Vi svelo quali possono essere le uniche cose che possiamo affermare categoricamente di conoscere: la nostra debolezza e l’ignoranza.
La presunzione è la virtù contraria all’umiltà, quindi il cristiano non può assolutamente essere presuntuoso.
La vera prova che ci troviamo alla presenza di Dio è che ci dimentichiamo di noi stessi, e che non pretendiamo di sapere. Se pensiamo di non essere presuntuosi, significa che lo siamo davvero.
Non crederti migliore di altri e di sapere tutto affinché, per avventura, tu non sia ritenuto peggiore dinanzi a Dio, che ben conosce quello che c’è in ogni uomo.