ALGERIA: CONDANNA CONFERMATA PER 2 CRISTIANI


Due giorni fa, domenica 26 settembre, la corte d’appello algerina ha confermato il verdetto riguardante il pastore Rachid Seighir e il suo dipendente Nouh Hamimi: per entrambi una multa di 200.000 DZD (circa 1.250 euro) e una pena detentiva sospesa di un anno.

Chi sono i 2 cristiani?

Il pastore Rachid è responsabile di una chiesa locale nella città di Orano e titolare di un negozio di libri e articoli di cartoleria. È proprio lì che Nouh Hamimi lavora come commesso. Nel 2017 la polizia aveva fatto irruzione nel suo negozio trovando libri e pubblicazioni cristiane (comprese copie della Bibbia), oltre a macchinari per la stampa.

Il 27 febbraio scorso, a più di 3 anni da quel giorno, è stata imputata loro una condanna per proselitismo “poiché la libreria conteneva libri considerati una minaccia in grado agitare la fede dei musulmani”. La legge algerina che regola il culto non musulmano, infatti, criminalizza “la produzione, la conservazione o la diffusione di documenti stampati e audiovisivi che abbiano l’intento di minare la fede di un musulmano”.

Una situazione diffusa

La chiesa del pastore Rachid, insieme ad altre 2 comunità della provincia di Orano, è tra quelle di cui avevamo parlato in un articolo dello scorso 27 luglio e che si aggiungevano al lungo elenco di gruppi cristiani i cui edifici ecclesiastici erano stati posti sotto sequestro dalle autorità.

Alle 16 chiese già definitivamente chiuse in tutto il Paese, se ne potrebbero ora aggiungere altre 4. Queste ultime hanno infatti già ricevuto ordine di cessare le proprie attività.

I cristiani algerini chiedono urgente preghiera affinché la morsa anticristiana possa allentarsi e loro rimanere saldi in Gesù, nonostante le crescenti difficoltà.

STA ACCADENDO ORA !!!!😭😭😭


“Ho ricevuto questa mattina un messaggio da una donna che ha legami con la Chiesa in Medio Oriente. È un messaggio che tutti i credenti devono ascoltare. Alcuni dei nostri fratelli in Afghanistan hanno preso la decisione di non scappare o nascondersi, ma di usare invece i giorni che hanno lasciato per andare di casa in casa a raccontare ad altri di Gesù. Sono molto consapevoli che questo accorcerà i loro giorni, ma continuano a bussare e le persone stanno accettando Gesù di Nazareth come loro Salvatore e Signore! Questo è il motivo per cui sentiamo dire che la Chiesa sta crescendo ogni giorno in un numero senza precedenti. Non c’è amore più grande di un uomo che dà la vita per un fratello. Per favore prega per i nostri fratelli e sorelle!”(questo è stato inviato da un amico ministro)Cristo ne ha parlato.Matteo: 24,7 Nazione contro nazione e regno contro regno. Ci saranno carestie e terremoti in vari luoghi.Matteo: 24.8 Tutti questi sono l’inizio dei dolori del parto.Matteo: 24,9 “Allora sarete consegnati per essere perseguitati e messi a morte, e sarete odiati da tutte le nazioni a causa mia.Matteo: 24.10 In quel tempo molti si allontaneranno dalla fede e si tradiranno e si odieranno a vicenda,Matteo: 24.11 e appariranno molti falsi profeti e sedurranno molte persone.Matteo: 24.12 A causa dell’aumento della malvagità, l’amore dei più si raffredderà,Matteo: 24.13 ma chi resisterà sino alla fine sarà salvo.

CONGO- Strage di cristiani in Congo, uccise 36 persone a colpi di machete


Congo strage cristiani

Autori del massacro gli estremisti islamici della zona

Uccisi brutalmente a colpi di machete solo perché cristiani. È successo in Congo, nella regione di Beni, dove quattro villaggi sono stati razziati dalle Forze Democratiche Alleate, un gruppo ribelle islamista che ha le sue origini in Uganda e che attualmente risiede nella parte occidentale della regione congolese. 36 in tutto le vittime degli attacchi notturni ai villaggi, tra cui un pastore anglicano con la moglie.

Come riportato da Reuters, l’attacco principale ha avuto luogo a Manzingi, un villaggio a nord-ovest di Oicha, mentre il pastore è stato ucciso nel villaggio di Eringeti. «La vittima ha avuto la sfortuna di imbattersi, insieme a sua moglie, sulla stessa strada dei ribelli» – ha dichiarato in un comunicato Omar Kavota, rappresentante del gruppo per la difesa dei diritti soprannominato CEPADHO.

L’attentato non è il primo che si verifica ad opera del gruppo islamico, considerato il più attivo e violento della Repubblica Democratica del Congo negli ultimi due anni. Guidato da Musa Baluku, è noto che il gruppo ha commesso crimini come l’omicidio, lo stupro e il rapimento di donne e bambini, nonché la schiavitù e l’indottrinamento.

La regione di Beni ha subìto un’ondata di violenza dal 30 ottobre, quando le truppe congolesi hanno lanciato un’offensiva contro i ribelli. Un totale di 265 persone sono state uccise dalle Forze Democratiche Alleate da novembre, secondo il Kivu Security Tracker, un’iniziativa di ricerca che traccia i disordini nel Congo orientale.

A novembre 2019, gli attacchi del gruppo islamico hanno ucciso almeno 84 persone, tra cui uomini, donne e bambini. Più della metà delle vittime erano cristiani. A marzo, sei cristiani, tra cui un bambino di 9 anni, sarebbero stati uccisi quando le forze ribelli hanno attaccato il villaggio in gran parte cristiano di Kalau, vicino alla città di Beni. Inoltre 500 famiglie sono state costrette a fuggire dalle loro case. Nell’agosto 2016, invece, gli estremisti erano stati accusati di aver realizzato quello che è noto come il “massacro di Beni”, in cui almeno 64 persone sono state colpite a morte.

A dicembre, l’amministrazione Trump ha imposto sanzioni al capo del gruppo e ad altre cinque persone per aver commesso gravi violazioni dei diritti umani, tra cui stupri di massa, torture e omicidi.

Il pastore Gilbert Kambale, presidente dell’organizzazione della società civile della città di Beni, ha esortato la comunità internazionale a pregare Dio per la liberazione di Beni e del Congo. «Anche se la notte è lunga, il giorno sorgerà sicuramente», ha dichiarato all’organizzazione Porte Aperte.

Nigeria, decapitato Andimi. I cristiani sono carne da macello per gli islamisti


Andimi-Can-Boko-Haram

La morte del reverendo, le ossa fratturate del seminarista, il massacro dei ragazzi di Gora-Gan. Boko Haram e fulani versano il sangue dei fedeli in tutto il paese

Aveva chiesto a sua moglie di prepararsi ad essere paziente e di avere cura dei loro figli se non fosse riuscito a rivederli, «non piangete, non preoccupatevi, siate sempre grati a Dio per tutto». Così Lawan Andimi, guida locale della Christian Association of Nigeria (Can), nel filmato girato dai suoi rapitori, diffuso tra gli altri dal giornalista Ahmad Salkida. Ieri il reporter ha diramato l’atroce notizia: «Il reverendo Andimi è stato decapitato ieri pomeriggio (20 gennaio, ndr), il video della sua spaventosa esecuzione con quella di un soldato è stato diffuso alle 14:42. Mi sono assicurato che la famiglia, le autorità e la chiesa fossero debitamente informate prima che la notizia fosse diffusa al pubblico questa mattina».

L’ESECUZIONE DEL REVERENDO ANDIMI

Andimi era scomparso a Michika, nello stato di Adamawa, il 3 gennaio scorso, durante l’ultimo di una serie di attacchi sferrati da Boko Haram dalla foresta Sambisa, roccaforte dei jihadisti, contro le comunità confinanti. Dopo aver confermato di essere stato rapito e di essere stato trattato con riguardo dai rapitori, nel suo accorato appello il reverendo si era rivolto a famigliari e amici, pregandoli di essere forti e di confidare nella volontà di Dio, e ai colleghi della Can e al governatore Ahmadu Umoru Fintri, chiedendo loro di intervenire al più presto per il suo rilascio. Alla durissima esortazione rivolta dalla Christian Association of Nigeria al governo federale per salvare tutti i cristiani ostaggio di Boko Haram e dello Stato islamico (il reverendo Samson Ayokunle, presidente Can, aveva definito il rapimento di Andimi come l’ultima prova della violenta e sistematica persecuzione in atto nei confronti dei cristiani della Nigeria), il presidente Muhammadu Buhari aveva risposto: «Non vedere i terroristi per quello che sono significa fare esattamente ciò che vogliono, dividere i nigeriani».

In Etiopia sono stati decapitati due pastori e più di 30 chiese sono state attaccate, metà delle quali date alle fiamme dal luglio 2018.


Etiopia

Due pastori sono stati decapitati a Sedeba, vicino alla capitale etiope Addis Abeba, lo scorso ottobre.

L’assassinio brutale di questi pastori, come riportato su Infochretienne.com, fa parte dell’esacerbazione della violenza in Etiopia, in particolare nella regione di Oroma. Lì sta accadendo che spesso si scontrano le forze dell’ordine con gli oppositori dell’attuale governo. Secondo il Guardian (giornale britannico), questa sarebbe la peggiore crisi del mandato del primo ministro Abiy Ahmed Ali, recentemente insignito del premio Nobel per la pace, in un paese ‘a mosaico’, composto da nove regioni costruite su criteri etnici.

Fisseha Tekle, ricercatore di Amnesty International, teme «atrocità di massa» quando parla della situazione di Adama, una città di 300mila abitanti nel sud-est della capitale.

«Adama è un melting pot di gruppi etnici e religiosi etiopi, con molti gruppi diversi. Questi episodi di violenza basati sulla religione e sull’etnia possono, quindi, essere molto pericolosi. Può essere l’inizio di atrocità di massa».

Da luglio 2018, secondo quanto riferito dall’Amhara Professionals Union, più di 30 chiese sono state attaccate e metà di esse sono state bruciate.

Elias Gebreselassie, giornalista di Addis Abeba, parla di una «bomba a orologeria».

Tewodrose Tirfe dell’Amhara Association of America ha aggiunto che gli incendi nelle chiese potrebbero essere un «enorme contrattempo per la pace» e potrebbero «condurre a un nuovo conflitto».

«I seguaci etiopi delle tre religioni abramitiche – ha aggiunto – hanno vissuto in pace fianco a fianco per secoli. Se gli incendi delle chiese continueranno e se i cristiani si vendicheranno, ciò costituirà una grande battuta d’arresto per la pace e ciò alla fine potrebbe portare a un nuovo conflitto con conseguente spostamento di milioni di altri etiopi. L’Etiopia non può permettersi un conflitto religioso in un momento in cui è in questione la sua stessa sopravvivenza».

Secondo Tirfe il primo ministro Abiy Ahmed «non ha affrontato il problema degli incendi delle chiese né ha presentato piani per proteggere le chiese e i cristiani nelle aree in cui vengono attaccati. Non dovrebbe tacere: controllare la situazione è una priorità».

Quasi 70 persone sono già state uccise in questi giorni durante gli scontri tra oppositori governativi e le forze dell’ordine.

Nigeria. 11.500 cristiani uccisi, un milione e 300 mila sfollati, 13 mila chiese distrutte


Nigeria cristiani uccisi

Circa 11.500 cristiani uccisi, un milione e trecentomila sfollati, 13 mila chiese abbandonate o distrutte. Sono gli impressionanti numeri contenuti in una relazione presentata a New York all’Onu da monsignor Joseph Bagobiri, vescovo di Kafanchan, Nigeria, e che fanno riferimento al periodo 2006-2014. Una carneficina intollerabile; è per questo che il vescovo ha fatto appello alle forze internazionali a non girare la testa da un’altra parte, ma a farsi carico dell’emergenza umanitaria.
Nel documento, intitolato “L’impatto della violenza persistente sulla Chiesa nel nord della Nigeria”, il vescovo ha messo in rilievo che a provocare la maggior parte dei disastri sia stata la famigerata setta jihadista Boko Haram e che gli stati più colpiti siano stati quelli di Adamawa, Borno, Kano e Yobe. Da lì, i fuggiaschi si sono rifugiati negli stati centrali di Plateau, Nassarawa, Benue, Taraba e la parte meridionale di Kaduna.

Ma le brutte notizie non finiscono qui, perché anche in questa fascia di stati si sono recentemente verificate violenze, questa volta ad opera dei pastori Fulani: «Questa – ha detto Bagobiri – è una palese invasione straniera di terre ancestrali dei cristiani e di altri comunità minoritarie. In queste aree, i pastori Fulani terrorizzano incessantemente diverse comunità, cancellandone alcune, e in posti come Agatu nello Stato di Benue e Gwantu e Manchok in quello di Kaduna, questi attacchi hanno assunto il carattere del genocidio, con 150-300 persone uccise in una notte».

Foto Ansa

Nigeria: Pastore bruciato vivo assieme ai 3 figli


Il 28 agosto scorso, la comunità cristiana della città di Barkin Ladi (villaggi di Wereh, Abonong, Ziyat, Bek, Nafan, Sagas, Rawuru e Rambuh – stato di Plateau) è stata oggetto di pesanti attacchi da parte degli allevatori musulmani Fulani, che continuano a perseguitare i cristiani e a devastare le loro proprietà in questa parte della Nigeria.

Tra le vittime si contano un pastore e 4 membri della sua famiglia. Il pastore Adamu Wurim Gyang, 50 anni, è stato dato alle fiamme insieme ai suoi 3 figli mentre la moglie Jummai, 45 anni, è stata colpita a morte. Più di 14 persone hanno perso la vita nell’attacco con 95 case bruciate e 225 campi coltivati distrutti.

Fonti di Abonong riferiscono che nella sera di martedì i Fulani sono arrivati al villaggio, iniziando a sparare e provocando il panico tra la gente. Tutti correvano per cercare riparo. Il pastore Gyang, che viveva nei locali della chiesa, si è barricato in una stanza insieme ai suoi 3 figli, mentre la moglie Jummai ha trovato rifugio nel bagno. Gli assalitori hanno sparato a Jummai e dato fuoco alla stanza dove si nascondevano il pastore con i figli.

Il figlio maggiore, Adamu, 27 anni, studente all’università di Jos è scampato al massacro e racconta: “Ero all’università quando ho visto un post su Facebook che parlava dell’attacco. Ho chiamato subito mio padre, il suo telefono era spento. Ho chiamato mia madre, ma anche lei non era raggiungibile. Dopo aver saputo ciò che era accaduto non sono riuscito a dormire. Mio padre era sempre stato la forza della nostra famiglia. Non so come sarà la mia vita senza di lui ora.”

Questo non è altro che l’ultimo di una serie di episodi avvenuti alla fine del mese di agosto, eventi che hanno provocato la morte di almeno 20 persone e demolito gli sforzi di pace tra i leader religiosi e politici di questa parte della Nigeria. Nonostante il presidente Buhari, criticato per il suo atteggiamento “tiepido” nei confronti della violenza Fulani, abbia visitato la città di Jos per annunciare un dispiegamento senza precedenti di forze di sicurezza, la violenza non sembra diminuire.

Indonesia: colpita una chiesa partner di Porte Aperte


INDONESIA PASTORE UCCISO

L’Indonesia è scossa dalla sequela di attentati terroristici. Tra le chiese attaccate c’è anche una comunità che collabora con Porte Aperte, il cui pastore aveva seguito i nostri corsi di preparazione alla persecuzione.

L’Indonesia è scossa dalla sequela di attentati terroristici. Ieri i membri di un’intera famiglia (compresi bambini) si sono fatti esplodere nei pressi di una stazione di polizia, attentato che segue quello alle 3 chiese di domenica, in una progressione che ha già dato prova di essere una precisa strategia terroristica rivendicata da affiliati allo Stato Islamico. Una chiesa cattolica (Santa Maria), una protestante (Chiesa Cristiana Indonesiana – GKI) e una pentecostale (Chiesa Pentecostale di Surabaya) sono state i bersagli di questa ferocia, con almeno 14 vittime e svariati feriti.

La Chiesa Pentecostale di Surabaya collabora con Porte Aperte da tempo. Il pastore Yonathan ci ha riferito che la guardia di sicurezza (Min, 52 anni) è morta nell’attentato, assieme a 4 membri di chiesa. La comunità è scioccata, ferita e in angoscia. Tra le vittime c’è anche Daniel, un ragazzo di 17 anni che ha tentato di evitare che il mezzo dell’attentatore varcasse il cancello di entrata della chiesa: “Se non fosse stato per il suo coraggio, le vittime sarebbero state molte di più”, molti hanno commentato nei social media.

Il pastore Yonathan, che ha frequentato i nostri corsi Resistere nella tempesta (preparazione alla persecuzione), ci ha detto di aver riunito la chiesa per pregare subito dopo l’attacco. Ha incoraggiato i fratelli e le sorelle a vedere l’incidente come una preparazione ai tempi che verranno: “Dobbiamo stare ancor più vicini a Dio. Qualcuno potrebbe aver paura di lodare Dio in chiesa, ma noi non possiamo farci vincere dalla paura”, ci ha detto. “Per favore pregate per i fratelli e sorelle della chiesa affinché possano crescere più forti nella fede. Il pericolo maggiore è allontanarsi da Dio. Potremmo non conoscere o capire le Sue vie, ma Lui è un Dio buono, sempre”.

La polizia ha dichiarato che gli attentatori erano una famiglia: Dita Supriyanto (47), sua moglie (43) e i loro 4 figli di 8, 12, 16 e 18 anni (2 femmine e 2 maschi). Dita, che è la mente dell’attentato e leader di un gruppo terroristico locale affiliato all’ISIS, ha fatto scendere la moglie e le 2 figlie (8 e 12 anni) nel parcheggio della Chiesa Cristiana Indonesiana, ha poi proseguito fino all’entrata della Chiesa del pastore Yonathan dove si è fatto esplodere, mentre i figli maschi si dirigevano verso la Chiesa Cattolica di Santa Maria con lo stesso scopo. Preghiamo per i fratelli e sorelle colpiti, ma preghiamo anche per i persecutori, per le intere famiglie radicalizzate convinte di servire un qualche dio feroce e distante: che possano incontrare il Dio della pace e convertirsi all’Amore vero.

L’Indonesia è scossa dalla sequela di attentati terroristici. Tra le chiese attaccate c’è anche una comunità che collabora con Porte Aperte, il cui pastore aveva seguito i nostri corsi di preparazione alla persecuzione.

L’Indonesia è scossa dalla sequela di attentati terroristici. Ieri i membri di un’intera famiglia (compresi bambini) si sono fatti esplodere nei pressi di una stazione di polizia, attentato che segue quello alle 3 chiese di domenica, in una progressione che ha già dato prova di essere una precisa strategia terroristica rivendicata da affiliati allo Stato Islamico. Una chiesa cattolica (Santa Maria), una protestante (Chiesa Cristiana Indonesiana – GKI) e una pentecostale (Chiesa Pentecostale di Surabaya) sono state i bersagli di questa ferocia, con almeno 14 vittime e svariati feriti.

La Chiesa Pentecostale di Surabaya collabora con Porte Aperte da tempo. Il pastore Yonathan ci ha riferito che la guardia di sicurezza (Min, 52 anni) è morta nell’attentato, assieme a 4 membri di chiesa. La comunità è scioccata, ferita e in angoscia. Tra le vittime c’è anche Daniel, un ragazzo di 17 anni che ha tentato di evitare che il mezzo dell’attentatore varcasse il cancello di entrata della chiesa: “Se non fosse stato per il suo coraggio, le vittime sarebbero state molte di più”, molti hanno commentato nei social media.

Il pastore Yonathan, che ha frequentato i nostri corsi Resistere nella tempesta (preparazione alla persecuzione), ci ha detto di aver riunito la chiesa per pregare subito dopo l’attacco. Ha incoraggiato i fratelli e le sorelle a vedere l’incidente come una preparazione ai tempi che verranno: “Dobbiamo stare ancor più vicini a Dio. Qualcuno potrebbe aver paura di lodare Dio in chiesa, ma noi non possiamo farci vincere dalla paura”, ci ha detto. “Per favore pregate per i fratelli e sorelle della chiesa affinché possano crescere più forti nella fede. Il pericolo maggiore è allontanarsi da Dio. Potremmo non conoscere o capire le Sue vie, ma Lui è un Dio buono, sempre”.

La polizia ha dichiarato che gli attentatori erano una famiglia: Dita Supriyanto (47), sua moglie (43) e i loro 4 figli di 8, 12, 16 e 18 anni (2 femmine e 2 maschi). Dita, che è la mente dell’attentato e leader di un gruppo terroristico locale affiliato all’ISIS, ha fatto scendere la moglie e le 2 figlie (8 e 12 anni) nel parcheggio della Chiesa Cristiana Indonesiana, ha poi proseguito fino all’entrata della Chiesa del pastore Yonathan dove si è fatto esplodere, mentre i figli maschi si dirigevano verso la Chiesa Cattolica di Santa Maria con lo stesso scopo. Preghiamo per i fratelli e sorelle colpiti, ma preghiamo anche per i persecutori, per le intere famiglie radicalizzate convinte di servire un qualche dio feroce e distante: che possano incontrare il Dio della pace e convertirsi all’Amore vero.

Algeria: cristiano rilasciato dopo 3 anni di carcere


Il cristiano algerino Slimane Bouhafs si è finalmente ricongiunto con la sua famiglia dopo aver passato un periodo di detenzione molto pesante.

«Finalmente mi è stato restituito mio padre…», ha scritto la figlia di Slimane Bouhafs su Facebook durante le feste di Pasqua. Egli ha potuto ricongiungersi con la famiglia domenica 1 aprile 2018.

Slimane, 51 anni, è un cristiano ex-musulmano arrestato il 31 luglio 2016 per «insulti verso l’islam e il suo profeta» a seguito della pubblicazione di un post su Facebook. Condannato a 5 anni di prigione, la sua pena è stata ridotta nel settembre del 2016 a 3 anni e poi nuovamente il 4 luglio 2017 avendo ottenuto la grazia da parte del presidente Abdelaziz Bouteflika.

A causa della sua fede, durante la detenzione, è stato aggredito numerose volte dagli altri carcerati. Inoltre, lo scorso ottobre ha intrapreso uno sciopero della fame di 16 giorni, malgrado la salute piuttosto precaria, per protestare contro il rifiuto della libertà condizionata.

Ora che è stato liberato Slimane Bouhafs ha testimoniato al giornale algerino El-Watan:«Sono pieno di gioia perché ho potuto riunirmi alla mia famiglia, che ha sofferto enormemente». Ha inoltre aggiunto: «Ho subito una terribile ingiustizia, se ho potuto resistere è solo grazie alle lettere di incoraggiamento che mi sono arrivate da tutto il mondo».

La sua liberazione è una grande gioia per tutte le comunità cristiane che si sono mobilitate in preghiera con perseveranza e fede sia in Algeria che all’estero.

Ricordiamo che l’Algeria si trova al quarantaduesimo posto della WWL2018, la lista delle nazioni dove i cristiani sono più perseguitati, a motivo dell’intolleranza familiare e della comunità, della burocrazia e delle leggi restrittive dello stato che colpiscono in modo particolare i cristiani ex-musulmani. Nonostante questo, soprattutto in alcune zone del Paese come la Cabilia, la Chiesa sta sperimentando una grande crescita.

 

India: recenti attacchi a chiese e pastori


Lo scorso 1°aprile, in occasione della domenica di Pasqua, si è verificato l’ultimo di una serie di attacchi susseguitisi nell’ultima settimana. Erano le 9:30 del mattino quando, nel locale della Bethel Prayer Assembly di Marudur, Coimbatore, un gruppo di estremisti indù ha fatto irruzione minacciando il pastore Rajesh e i cristiani presenti. È stato proprio il pastore (nella foto) a essere preso di mira dagli estremisti riportando un trauma cranico.

Un avvenimento simile si è riscontrato anche lo scorso 28 marzo in Uttar Pradesh, nell’India Orientale. Un gruppo di circa 20 estremisti indù ha interrotto un incontro organizzato in occasione di alcuni battesimi accusando i responsabili di organizzare conversioni forzate. L’irruzione nell’edificio di una delle Chiese Evangeliche dell’India (ECI) del distretto di Fatehpur, ha procurato al pastore Jose Prakash delle percosse, così come ad altri 2 membri di chiesa lì presenti.

Stavamo allestendo la sala per i battesimi“, racconta il pastore, “quando all’improvviso 20 persone sono apparse. Avevano tra le mani dei bastoni di legno. Ho provato a parlare con loro ma tenendomi per il colletto gridavano: stai facendo convertire delle persone qui!”. Il pastore poi continua: “Ho cercato di calmarli e spiegare loro che battezzo solo coloro che lo decidono volontariamente, senza alcuna forzatura, ma non mi hanno creduto”. Dinesh Kumar, giovane di 25 anni, ha tentato di intervenire senza successo. È finito in ospedale con diversi lividi sul corpo e il lobo dell’orecchio sinistro tagliato. Anche un altro uomo di 45 anni, in lista tra coloro che dovevano essere battezzati, è stato picchiato dovendo poi andare in ospedale.
Solo qualche giorno prima, il 25 marzo, un gruppo di 10 estremisti indù aveva fatto irruzione nella Sheloha Prayer House a Hyderabad, capitale dello stato di Telangana a sud dell’India, inveendo contro il pastore e rovesciando sedie. L’incidente è stato riportato alla polizia e ha procurato timore nei presenti.

I cristiani indiani si trovano quindi a vivere momenti difficili, dovuti a un’esponenziale crescita dell’intolleraza e della violenza da parte di gruppi estremisti indù.